Eccoci al secondo appuntamento con la rubrica letteraria Il personaggio del mese! Il protagonista di giugno si chiama ‘Ntoni e arriva da I Malavoglia (1881) di Giovanni Verga. Inquieto, a volte scansafatiche ma in fondo sognatore, ‘Ntoni è un ragazzo sui vent’anni che vorrebbe una vita diversa. Come molti di noi.
I Malavoglia e la filosofia delle dita della mano
‘Ntoni è il maggiore dei figli di Bastianazzo e Maruzza ‘la Longa’ e il primo dei suoi parenti, conosciuti ad Aci Trezza (Catania) come ‘i Malavoglia’, a lasciare la Sicilia per svolgere il servizio militare. Questo sottrae ‘Ntoni al mondo ancestrale del nonno Padron ‘Ntoni, un mondo fatto di proverbi, fatiche quotidiane e affetti familiari, e gliene mostra uno nuovo, lussuoso e spensierato.
Per il vecchio Padron ‘Ntoni la vita va avanti sempre uguale a se stessa e la famiglia funziona come una mano di cui ogni membro è un dito. La sua è un’etica di collaborazione – le dita devono sostenersi a vicenda – ma, volendo fare della filosofia spiccia, anche di determinismo. Ogni dito ha il suo ruolo e non lo può cambiare: il dito grosso deve fare da dito grosso, il dito piccolo da dito piccolo. Questo funziona con Mena e Alessi, fratelli minori di ‘Ntoni, ma non con il maggiore. ‘Ntoni vuole cercare un’alternativa.
Quando torna dal servizio militare, ‘Ntoni trova la famiglia che arranca per ripagare un grosso debito. Il suo futuro, quindi, gli appare improvvisamente scuro: lavorare come pescatore a giornata agli ordini dei compari (la barca de i Malavoglia, la Provvidenza, è andata distrutta), spaccandosi la schiena per pochi spiccioli.
In più, il naufragio della Provvidenza ha trascinato sul fondo del mare non solo un carico di lupini comprato da Padron ‘Ntoni, ma anche Bastianazzo. Dopo la morte del padre, dunque, ‘Ntoni dovrebbe ‘fare da dito grosso’ al suo posto, guidare i fratelli e aiutare il nonno a saldare il debito e a maritare Mena. Dovrebbe, in poche parole, assumersi la responsabilità della famiglia.
‘Ntoni e l’ascensore sociale
Da militare, però, ‘Ntoni ha conosciuto una realtà fatta di fazzoletti ricamati, uniformi e belle donne ed è proprio a questa che aspira.
Nella speranza di fare fortuna, lascia di nuovo i Malavoglia e Aci Trezza, ma è costretto a tornare con la coda tra le gambe. L’ascensore sociale che su cui ha cercato di salire gli ha staccato la corrente. Il romanzo non racconta che cosa causa il fallimento di ‘Ntoni, se l’incoscienza o la sfortuna, ma questo lo riporta al punto di partenza. E a 150 anni di distanza dalle sue disavventure, quell’ascensore sociale è ancora rotto: i figli ereditano nella maggior parte dei casi lo status socio-economico dei genitori (La Stampa, 16/12/2018).
‘Ntoni, però, proprio non ci sta. Si rassegna a restare ad Aci Trezza, anche se sente quest’ambiente troppo stretto e arretrato, ma non a fare la vita del nonno e del padre. Alla pesca preferisce l’ozio e il contrabbando, in modo da evitare almeno la fatica, e rifugge anche i momenti di unità familiare, perché ormai si sente un estraneo. La felicità semplice che il nonno e la sorella Mena trovano nella salatura delle acciughe o in un pomeriggio passato insieme a riparare le reti non fa più presa su di lui.
Nonno e nipote, scontro tra generazioni
Il saggio Padron ‘Ntoni fa di tutto per convincere il nipote ad accontentarsi – fai il mestiere che sai, se non arricchisci camperai – , ma i due parlano lingue troppo diverse. Se vivesse oggi, ‘Ntoni sarebbe un millenial di provincia che tenta il grande salto a Milano o a Roma e, non riuscendoci, torna di controvoglia all’ovile. Gli adulti gli dicono di sistemarsi, di trovare un lavoro stabile senza seguire progetti impossibili, ma lui non ce la fa. Non riesce ad accettare che quel mondo dorato, di comfort e opportunità, gli sia precluso e questo lo rende profondamente inquieto.
S.B.
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